Gli uomini illustri del Vallo di Diano

Molti i personaggi illustri ai quali il Vallo di Diano ha dato i natali.
Tra gli artisti si ricordano il celebre scultore Andrea Carrara di Padula, i pittori Anselmo Palmieri e Nicola Peccheneda di Polla, Francesco De Martino di Buonabitacolo e Sabinus de Pelusus di Sanza.
Tra gli scrittori ed umanisti: Pomponio Leto, nato a Teggiano nel ‘400, figlio illegittimo di Giovanni Sanseverino, docente di Retorica a Roma e fondatore  di un’Accademia detta “Romana” o “Pomponiana”, e Gherardo Marone, di Monte S. Giacomo, uno dei giovani letterati di inizio ‘900, tra i fondatori della rivista letteraria “La Diana” e firmatario del Manifesto di Croce.

Tra gli scienziati: Frank Valente, uomo di scienza originario di Padula, professore e ricercatore negli anni ’40, conteso dalle migliori università americane, e Giuseppe Luigi Stabile, di Polla, uno degli ultimi esponenti del Futurismo, progettista e grafico amico di Marinetti, che lo definì “architecnico”.
Ed infine Joe Petrosino, emigrato giovanissimo a New York, uomo simbolo della lotta alla Mafia nell’America del primo Novecento, al quale è intitolato l´omonimo premio che si tiene a marzo-aprile dedicato a magistrati e forze dell´ordine.
 

Gli emigrati illustri
Tratto da "Così lotanani...così vicini" - Comunità Montana Vallo di Diano - Aprile 2007

Il flusso emigratorio innegabilmente ha contribuito a trasformare in maniera notevole la situazione economica e sociale del Paese, e a rialzare, anche se lentamente, il tono e il tenore di vita di tanti uomini, che con le valigie ricolme di sogni e di speranze, partirono o per spirito di avventura o perché attratti dalla voglia di conoscere nuovi luoghi e altra gente, ma soprattutto alla ricerca di un lavoro per costruire, anche se con sacrifici incommensurabili, una posizione migliore.
Ma c’era anche chi partiva per altre ragioni; come il pollese Vincenzo Bufano, che agli inizi degli anni ‘20, sposato e padre di due figli, sceglie di lasciare Polla perché diceva: “ l’ Italia è sempre in guerra ed io non voglio che , da grande, i miei figli debbano ripetere la mia esperienza e mettere in pericolo la loro vita.” Decise allora, di imbarcarsi per l’Argentina trovando un buon lavoro come manovale, addetto alla sistemazione delle rotaie ferroviarie. Anche se a malincuore, venne raggiunto dalla famiglia e, l’ambientamento almeno all’inizio, non fu semplice e non soltanto per la nostalgia dei propri cari ma anche del paese natio.
La moglie, animata da sentimenti di altruismo e disponibilità verso il prossimo, a Buenos Aires iniziò a collaborare con un orfanotrofio e ad accudire i tanti bambini soli. 
Ma la sorpresa più grande per la famiglia fu la decisione del figlio Rodolfo, di farsi frate.
Da quel momento in poi la sua vita e la sua azione furono al servizio della Chiesa e di quanti potessero avere bisogno di lui. Infatti a Buenos Aires e in altri centri in cui esercitò il suo magistero, Don Rodolfo, ben presto diventò un punto di riferimento per tutti quelli, soprattutto italiani che si rivolsero a lui per qualsiasi problema, ma anche per avere preziosi consigli e parole di conforto in quei momenti difficili e drammatici che l’Argentina fu costretta ad attraversare e che si ripercossero fatalmente sugli emigrati e sulla gente più umile del Paese. Più volte criticò la politica economica governativa, mentre mantenne sempre ottimi rapporti coi lavoratori e coi loro rappresentanti perché diceva: “Mi piace lavorare con gli operai: sono la mia radice”. Purtroppo, la sua opera e la sua vita furono spezzate all’improvviso, il disegno di Dio, aveva deciso diversamente. Grande è il cordoglio del governo argentino che definì la morte di Rodolfo Bufano un olocausto per il Paese, poiché egli ebbe una preoccupazione costante per i problemi sociali dei sindacalisti e per la situazione dei lavoratori. 
La notizia della sua scomparsa giunse rapidamente anche a Polla dove Mons. Bufano era molto conosciuto, grazie ai tanti viaggi fatti ogni volta che i suoi impegni lo portavano in Vaticano.
Grandi sacrifici ma anche grossi riconoscimenti, per gli emigrati italiani che incominciarono ad occupare alte cariche nella politica, nelle università e nelle amministrazioni.
Ne è un esempio il dott. Francesco Isoldi, nato a Polla nel 1821, che dopo aver conseguito la laurea in Medicina presso l’Università di Napoli sotto Ferdinando II di Borbone ed aver iniziato ad esercitare la professione medica, nel suo paese nativo decise, dopo 10 anni di lasciare l’Italia e trasferirsi in Argentina. Probabilmente la decisione fu presa per il terribile terremoto che colpì il Vallo di Diano nella notte tra il 16 e il 17 dicembre del 1857. Stabilitosi a Buenos Aires, si distinse per la sua intelligenza ed operosità e morì combattendo una forte epidemia di febbre gialla che stava mietendo molte vittime nella capitale argentina.
In segno di riconoscimento la cittadinanza volle che una via della città fosse a lui intitolata.

Ma tra i Pollesi emigrati in Argentina il più conosciuto, non solo a Polla ma in tutto il Vallo di Diano, fu certamente Luigi Curto nato a Polla nel 1837.
Emigrato negli anni ‘60 in Argentina, in 45 anni di permanenza e di duro lavoro come commerciante di cereali, riuscì ad accumulare una notevole fortuna.
Sensibile ai bisogni del prossimo, partecipò in modo tangibile alla fondazione dell’Ospedale italiano di Buenos Aires nel cui vestibolo, a dimostrazione della benevolenza acquisita, sarà successivamente innalzato un busto di marmo in suo onore. Dopo mezzo secolo trascorso in Argentina si rese conto che era giunto il momento di rimpatriare e di donare anche al suo Paese un Ospedale per i più bisognosi. E così acquistato un suolo in località Belvedere si decise di dare inizio ai lavori il 21 giugno del 1905, giorno del suo onomastico: fu quella una tappa importante nella storia di Polla che dalla realizzazione dell’Ospedale ha tratto notevoli vantaggi di carattere economico e sociale. Soltanto l’anno successivo Curto lasciò la terra straniera per fare ritorno a Polla, dove con tanta soddisfazione riescì a vedere completato l’Ospedale prima di passare a migliore vita il 31 maggio del 1908. La notizia della scomparsa destò profondo cordoglio sia a Polla sia a Buenos Aires, importante, in proposito, è ricordare una frase tratta dall’articolo pubblicato dal giornale El Riachuelo che meglio di altri spiega ed eleva il senso dell’opera di Luigi Curto: “Morì in Polla, all’età di 70 anni, dopo aver impiegato la sua vita e la sua fortuna per opere altrui, costruendo degli ospedali dove se ne sentiva la mancanza.”
Merita d’esser ricordato lo scultore Giorgio Amelio Roccamonte, conosciuto negli ambienti artistici italiani come lo scultore dei robot e vissuto, benché nato a Buenos Aires nel 1927, in un ambiente italiano perché i suoi genitori, entrambi meridionali, tennero a conservare tutte le consuetudini del Paese di origine.
Il momento fondamentale della sua vita di artista fu l’incontro in Argentina con Lucio Fontana, che diventa suo maestro. Giunto in Italia riprese il Liceo Artistico, entrò nell’Accademia di Brera che frequentò dal 1948 al 1950 e, nel 1951 tenne la sua prima personale a Roma, nella Galleria dello Zodiaco.
Roccamonte è noto, soprattutto, per le sue sculture robot. Si trattava di una sorta di critica alla situazione dell’uomo moderno, schiavo del mondo meccanizzato e artificiale nel quale vive e al quale si adatta, senza osare sottrarsi.
Negli ultimi anni passò dalle sculture robot a quelle degli alfabeti fantastici: sculture a forma di lettere nelle quali l’artista vuole significare il ricordo, l’essenza dei sogni con un linguaggio semplice, sintetico e rigoroso che riconduce in definitiva alla ricerca dell’interiorità dell’individuo.
L’ artista italo - argentino muore a Roma il 5 luglio nel 1980 e, così come aveva chiesto ai familiari, i suoi funerali si svolsero a Polla, il paese del padre, dove la salma fu tumulata nella Cappella di famiglia.

Da menzionare un altro validissimo figlio del Vallo di Diano, Giorgio F. Sergi, nato a Sala Consilina nel 1890 e costretto a lasciare l’Italia per raggiungere il padre che si era trasferito a Buenos Aires.
Alla sua attività di professore accoppia una lunga attività di pubblicista; in questo campo il suo lavoro più importante è la Historia de los Italianos en la Argentina in cui traccia in breve, il profilo di numerosi italiani, o figli di italiani, che si sono distinti in Argentina.
Sergi merita la massima considerazione per come seppe affrontare certe polemiche tra gli intellettuali argentini e quelli italiani sul ruolo svolto dai nostri connazionali, parlando apertamente di irriconoscenza nei confronti degli italiani da parte degli argentini.
Discorso a parte va fatto per Gherardo Marone, nato a Buenos Aires nel 1891, discendente di un’antica famiglia di Monte San Giacomo e tornato in Italia per proseguire gli studi e laurearsi presso l’Università di Napoli prima in Giurisprudenza e poi in Lettere e Filosofia. Partecipa alla prima Guerra Mondiale, fondò una rivista di letteratura e di poesia, La Diana, con la collaborazione dei maggiori scrittori dell’epoca, ne diresse un’altra di problemi politici e morali, Il Saggiatore, di netta opposizione al Fascismo.
Dovendo abbandonare l’Italia per motivi politici, nel 1938 tornò in Argentina. Anche se l’emigrazione nell’America Latina poteva sembrare una ritirata dopo la sconfitta, in realtà fu il principio del periodo più fertile della sua carriere letteraria anche perché egli contava di realizzare un progetto molto ambizioso: congiungere l’Italia e l’Argentina, le sue due Patrie.
A Buenos Aires lavorò incessantemente per la divulgazione della cultura e della letteratura italiana; ricchissima risulta la sua bibliografia comprendente 80 opere, pubblicate in Italia e Argentina, oltre ai testi delle tante conferenze tenute in tutto il mondo.
In occasione della morte l’illustre studioso fu solennemente commemorato sia a Napoli che a Buenos Aires. 
Tra i tanti emigrati di origine sanrufese merita un’attenzione particolare Clemente Stabile, nato in Uruguay nel 1894 da genitori italiani partiti per l’America Latina dopo l’Unità d’Italia. Studiò scienze naturali e psicologia e partecipò a vari congressi scientifici e insieme ad altri scienziati di fama mondiale si impegnò nello studio del sistema nervoso con l’applicazione di elèttrodi. Nelle conferenze e nelle relazioni scritte esprimeva sempre la sua convinzione che l’educazione del popolo era fondamentale per l’avvenire della società.
Nel 1994, in occasione del primo centenario della sua nascita, l’Uruguay ha ricordato l’illustre scomparso con un ricco programma di manifestazioni culturali durate ben 10 giorni. Si può quindi ben dire che il professore Clemente Stabile, con la sua scienza ed umanità, ha onorato anche San Rufo, paese da cui i suoi genitori iniziarono la via di poveri emigrati.
Per quanto riguarda Sant’Arsenio i primi emigrati partiti alla volta dell’Argentina furono, nel 1856, Paolo Splendore e Luigi Ippolito. All’inizio molti si diressero soprattutto in Argentina e in Brasile ma poi, specialmente all’inizio del ‘900, i santarsenesi preferirono l’altra America, quella del Nord, e in modo particolare New York e le città limitrofe. La scelta era imputabile al carattere del santarsenese, laborioso ed economico ma bisognoso di una terra più vicina come l’America del Nord, recandovisi per un periodo per lo più biennale anche dopo sacrifici incommensurabili , aveva la speranza di farvi un sollecito ritorno, per costruirvi una casa e comprare un pezzo di terra.
Frank Valente, anch’egli figlio di emigrati, nato a Padula nel 1898, partito per New York con i propri genitori che si impegnarono a trascorrere tutta la vita nel Nuovo Mondo, certi di far fortuna. Così tutta la famiglia si mise al lavoro, non trascurando l'inserimento culturale nella vita americana; e all’interno di questo contesto estremamente difficoltoso, notano l’assiduo e costante impegno che Frank pone negli studi. Il cammino di Frank è duro e difficile, incontra diverse difficoltà durante il proprio percorso di studio, difficoltà causate dalla condizione di immigrato che gli offre solo svantaggi, discriminazione, difficoltà di pronuncia della lingua, diversa nazionalità, situazione che lo pone in uno stato di inferiorità rispetto ai figli degli Americani. Dal 1918 al 1922 completa gli studi di Chimica, nel 1924 quelli di Fisica fino al 1939, anno in cui ottenne il dottorato in Fisica Nucleare, e concentra tutte le sue attenzioni alla ricerca dell'atomo. La sua è una carriera brillante : le migliori università americane se lo contendono come professore e ricercatore, diventa infatti un uomo di scienza di prestigio nazionale. Insegna al Rensselaer Polytechnic Institute e ad esso, come ultima volontà, vuole lasciare gran parte delle sue sostanze, poiché lì ha speso le sue migliori energie consumate in anni di assiduo studio sull'energia nucleare. Infatti, alla sua morte, decreta per testamento che quanto egli lasciava dovesse essere utilizzato nell'aiutare uomini di ingegno, capaci di far progredire gli studi sulla Fisica e sul Nucleare. Muore all'età di ottantasei anni nel 1984, quando è ancora intento a completare studi ed esperimenti. Conserva il rapporto con la terra natia lasciando una ingente somma di danaro destinata a borse di studio per i migliori alunni del Liceo scientifico “Carlo Pisacane” di Padula affinché questi possano continuare gratuitamente i loro studi presso il “Reenselear Polytechnic Institute” di New York, istituzione di cui egli stesso fu direttore.
Un altro caso di “ordinaria emigrazione” determina il destino di Giuseppe Petrosino, nato a Padula nel 1873 e diventato il grande e leggendario Joe, il poliziotto più famoso d’America. Emigrato giovanissimo nel 1873 alla volta di New York con l’intera famiglia, per non gravare sul bilancio familiare, oltre a frequentare le scuole serali, impara la lingua e si adatta a svariati mestieri, sorretto sempre da volontà e senso di onestà. Da lustrascarpe e venditore di giornali, davanti alla Centrale di Polizia di New York, presta spesso gratuitamente il proprio aiuto come informatore contro la criminalità italo - americana. E’ proprio una importante informazione, che gli permette di scoprire l’attentato ordito contro il Capo della Polizia, il 19 ottobre 1883, anno in cui con coraggio e sangue freddo sventa l’attentato, ottiene anche l’accesso in Polizia. Comincia a scalare i gradini della gerarchia, imponendosi con i suoi sistemi di lavoro che si ispirano a passione per il proprio mestiere, grande fiuto, intelligenza, senso di responsabilità, incorruttibilità, qualità queste, che lo portano al conseguimento di risultati brillanti contro la criminalità, raggiungendo anche il record di 700 arresti all’anno. Ma il suo grande sogno e lo scopo della sua vita è uno solo: sconfiggere la Mafia, la cosiddetta MANO NERA. A lui infatti viene attribuita l’intuizione secondo la quale la Mafia di New York ha le proprie radici in Sicilia; intraprende così un viaggio in Italia, dirigendosi appunto verso la Sicilia per infliggerle un colpo mortale. Ma la sera del 12 marzo 1909, nella Piazza Marina di Palermo viene raggiunto da 4 colpi di rivoltella, che lo fanno crollare, ucciso a terra. Simbolo dell’emigrazione valdianese ha aperto, a favore di essa, una lusinghiera pagina di onore tanto da poter essere inserito all’interno di quegli illustri emigrati soprattutto per il coraggio e per essere riuscito a lasciare un segno indelebile non solo in una terra straniera come l’America, ma soprattutto in Italia e in particolare nel Vallo di Diano. 
Durante l’omelia pronunciata ai suoi funerali il vescovo Lavalle disse: “era un uomo con uno stemma nobiliare non su una pergamena, ma nel cuore!”.
All’interno del territorio di Padula, si scopre la casa natale di Joe Petrosino, che oltre al valore di documentazione storica legata al personaggio, si ritrova anche una significativa e forse unica testimonianza della tipica casa degli emigranti di quegli anni: oggetti della loro esistenza, abitudini, strumenti del lavoro, bagagli delle partenze, sono stati conservati tra queste mura, grazie all’opera dei parenti di Giuseppe, fedeli custodi di una preziosa documentazione sulla vita del grande poliziotto e sulla storia dell’emigrazione meridionale.
Per il Comune di Padula che, unitamente alla regione Campania, ha contribuito alla realizzazione di questa Casa - Museo, essa rappresenta un doveroso contributo nella lettura della storia dell’emigrazione e nell’attualizzazione delle vicende dell’eroe Petrosino che, intuendo la gravità del fenomeno mafioso, pagò con la vita la scoperta di assassini e mandanti dei primi delitti di Mafia. 

Una figura eminente è poi quella di Filippo Gagliardi, imprenditore edile e petroliere, nato a Montesano sulla Marcellana nel 1912 e definito il filantropo del Meridione. Trascorre la sua infanzia a Campolongo, dove spesso andava a pascolare il gregge, ma già da adolescente pensa alla grande: vuole il mondo, tutto e subito. 
E così nel 1927, non ancora quindicenne e poverissimo parte per il Venezuela, dove svolge i mestieri più umili. Riesce tuttavia a resistere solo pochi mesi, poi è costretto a ritornare in Italia, dove lavora prima come muratore e poi come capomastro. Pian piano crea una sua impresa edile, che gli permette di affrontare le spese per un nuovo viaggio in Venezuela.
Rischia, comincia ad investire, fino a costruire un vero e proprio impero, destinando parte di tali immense ricchezze al compimento di opere di beneficenza, con donazioni di terre e di case, fondazioni di scuole e di istituti religiosi, sussidi a chiese ed ospedali e soccorsi a profughi, indigenti e disoccupati.
Accade spesso che il successo degli uomini “veri”, generi negli incapaci e nei falliti invidie e rancori e così negli anni compresi tra il 1957 e il1958, Gagliardi passerà come Napoleone “dall’altare alla polvere”.
E’ accusato in Venezuela di collaborazionismo con il deposto dittatore e ciò gli implica il sequestro di tutti i beni e l’arresto, non eseguito perché pur nolente, lascia il Paese.
Giunto in Italia, la situazione non è certo migliore, infatti l’autorità competente gli notifica una contravvenzione di numerosi milioni per non aver pagato le tasse sugli immobili donati ai poveri.
Pian piano però la verità trionfa.
Le indagini eseguite scrupolosamente, non individuano a carico di Filippo Gagliardi nessun elemento di quelle false accuse, che giustifichino misure discriminatorie nei suoi confronti.
E nonostante sia in corso la piena riabilitazione dalle accuse formulate contro di lui, Filippo Gagliardi, è stato ben presto dimenticato soprattutto nel suo Paese natale. La via in cui è ubicata la sua abitazione, non è intitolata a lui o alla sua mamma come forse avrebbe preferito.

Da questa piccola carrellata di personaggi illustri che hanno reso grande il nome del Vallo di Diano nel mondo, si evince la forza di volontà, la tenacia, lo spirito di iniziativa, la perseveranza, la laboriosità e l’onestà di questi uomini mai dimentichi dei sacri legami di famiglia e dei rapporti con la comunità di appartenenza. E non solo, in quanto si ritiene che i fatti e non le parole siano non solo il migliore consuntivo della vita di ogni uomo, ma anche l’ unico vero strumento valido per mettere in luce la propria figura morale e quella dei loro padri.