Le Tradizioni

Rosso, oro e turchino

Sino a qualche generazione fa, le donne della maggior parte dei paesi del Vallo nei giorni di festa indossavano un costume ammirato e descritto dai visitatori stranieri che, come Lenormant, attraversarono nell’Ottocento il sud d’Italia.
Pare che le più eleganti della valle fossero le donne di Polla. Esse indossavano una lunga gonna di panno rosso, detta ‘u suttànu, dotata di una sopragonna turchina rialzata per metà e bordata d’oro.
Su questa si appoggiava un bustino, ‘u curpèttu, di raso rosso o di altro colore vivo, che risaltava sopra la camicia di mussola bianchissima, senz’altro il capo  più raffinato per l’ampia scollatura adorna di merletti e le larghe maniche a sbuffo, ricche di ricami. Coprivano infine il capo con un panno scarlatto.
Un vero trionfo di colori sgargianti, di ricami e di ornamenti in oro, che ha fatto avvicinare il costume, tra l’altro simile a quello presente in Calabria e Basilicata, alle fogge bizantine. Oggi è ancora possibile ammirare gli abiti tradizionali delle donne di Polla in occasione del Festival Internazionale del Folklore (ago-set).

 

L'Arcangelo Michele tra Bizantini e Longobardi

La devozione micaelica largamente attestata nel Vallo, fu portata in Italia dai Bizantini nel VI secolo e si diffuse imitando il modello costituito dal santuario sorto in una grotta sulla cima del Monte Gargano in Puglia.
Il grosso prestigio assunto da questo luogo sacro e la larga devozione verso l’Arcangelo, fecero sì che esso fosse monopolizzato ora dai Longobardi ora dai Bizantini nella lotta per il potere, adattando gli attributi e le vesti del santo al loro diverso sentire.
Il S. Michele bizantino è così un misterioso angelo taumaturgo e psicopompo, accompagnatore della Vergine, protettore delle chiese.
Il S. Michele longobardo è invece un temibile guerriero celeste, debellatore del diavolo, guida del popolo nella conquista.
  Più tardi con la riconquista bizantina e l’inserimento dei monaci italo-greci, prevalse nuovamente l’immagine dell’Arcangelo taumaturgo, che entrò stabilmente nell’iconografia meridionale ad opera di artisti greci o grecizzati. 

 

Tra canti e racconti popolari: lu cunto re zì Liuccio

Sono numerosi i motti, i versi e gli stornelli tramandati dalla tradizione popolare di Buonabitacolo, che venivano recitati o cantati per dichiarare un amore, vendicarsi di un rifiuto amoroso, dare un consiglio o semplicemente destare ilarità. 
Questi canti e racconti, pur accompagnando la vita di tutti i giorni e il lavoro nei campi, trovavano particolare espressione durante le grigie domeniche invernali che precedevano il carnevale.
In queste giornate i frazziuoli - ovvero dei recitatori di frasi o motti - tutti uomini, ma alcuni travestiti da donna, andavano in giro a coppie per il paese ballando a suon di musica e recitando versi.
Nel tentativo di conservare questa cultura orale, nell’agosto del 2004 si è tenuta a Buonabitacolo una bella festa popolare, Lu cunto re zì Liuccio (Il racconto di zio Eliuccio, in riferimento a S. Elia Patrono di Buonabitacolo), nel corso della quale alcuni attori di una compagnia teatrale hanno recitato, girovagando nel centro storico, i cosiddetti cunti, ovvero fiabe e racconti popolari.
Un tuffo nella tradizione dunque con la possibilità di assaporare piatti tipici ed unirsi in scatenate tarantelle, che si spera possa ripetersi nei prossimi anni.

 

La leggenda della Madonna e il drago

Una leggenda di sapore medievale narra di un drago che viveva sulla montagna. 
Per potersene liberare i Salesi si erano inizialmente rivolti ad un incantatore, ma questi dichiarò che con un incantesimo avrebbe potuto solo portare il drago in città, dove spettava a loro ucciderlo. 
Giunto il momento, il popolo impaurito si rifugiò nelle case, serrando per bene porte e finestre, ed il povero incantatore fu divorato dalla bestiaccia, che tornò sulla montagna.
Gli abitanti ebbero salva la vita grazie all’intervento della Madonna, che portò il drago davanti alla Chiesa di San Pietro e lo uccise, come ricorda un dipinto in una edicola ricavata nel muro di un’abitazione presso la chiesa.