Pertosa e le sue Grotte

Possiamo iniziare questo viaggio nel ventre del Vallo dal comune di Pertosa, il cui nome già rimanda all’esistenza di una grotta. Nel dialetto locale, infatti, ‘u pertusu (dal latino pertusus) significa “buco”. La presenza di questa enorme apertura nella montagna fu da sempre l’elemento connotante della zona, tanto da dare il nome al piccolo paese, sorto dirimpetto in epoca medievale.
La stretta relazione esistente tra questo territorio e l’acqua, che lo ha modellato, appare evidente già lungo la strada, che conduce alle grotte, poste alle falde degli Alburni, ai piedi del monte Intagliata.

 
Dall’uscita di Polla dell’autostrada A3, si segua la segnaletica per le grotte di Pertosa percorrendo la SS19. Dopo una serie di tornanti, oltrepassato un ponte dalle alte arcate in travertino, si può vedere sulla sinistra la Forra di Campostrino 1. In questa gola di notevole valore paesaggistico e naturale scorre il fiume Tanagro, qui incanalato dai Borbone con la creazione del fossato Maltempo, così da bonificare la valle di Polla. Più avanti all’altezza di un secondo ponte appare la suggestiva Cascata di Maremanico 2, dove il Tanagro, uscito dalla forra, supera con due salti un dislivello di circa m 10, formando un laghetto. Sporgendosi dal ponte si scorgono dei resti di archeologia industriale legati alle acque: a destra una ferriera impiantata all’inizio del ‘900 e più tardi trasformata in cartiera; più in basso i ruderi di un mulino, già esistente all’inizio del XII secolo, quando venne donato alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Pertosa dal feudatario di Caggiano e Auletta. 
Alle Grotte di Pertosa 3 si arriva da una stradina tortuosa in salita, costeggiata da lecci. La maestosa entrata sembra una grande bocca della montagna, nascosta tra felci, edera e muschio. Da qui fuoriusciva un tempo il torrente Negro che, generato da risorgive all’interno dell’antro, è oggi sbarrato da una diga, costruita all’inizio del ‘900 per alimentare la sottostante centrale idroelettrica. Già Rellini, pubblicando nel 1916 i materiali archeologici qui rinvenuti, denunciò la grave manomissione incompatibile con un «[…] luogo di così suggestiva bellezza, che avrebbe dovuto, per l'importanza sua, conservarsi intatto ai ricordi del popolo nostro».

Questa prima cavità, che si scorge nella penombra, è sacra da millenni. L’altare con la statua di S. Michele Arcangelo (da cui il nome di grotte dell’Angelo) ne costituisce la traccia più recente ed è meta ancora oggi di processioni, un tempo molto sentite, tanto che i diritti di giurisdizione ecclesiastica sulla grotta furono contesi con le vicine Polla ed Auletta, per poi essere riconosciuti al clero di Pertosa nel ‘700.
Le prime notizie storiche sulla devozione verso S. Michele nell’antro, risalgono all’XI secolo; ma questo culto cristiano è di origine più antica essendosi appropriato di un luogo consacrato alle acque in epoca preistorica. Il rituale ancora in uso agli inizi del Novecento da parte dei pellegrini, che in visita a S. Michele si lavavano le mani ed il viso nel fiume e ne bevevano l’acqua, non è altro che un residuo dell’antica ritualità pagana. 
Le indagini condotte alla fine dell’Ottocento da Paolo Carucci e Giovanni Patroni, che operarono separatamente in aspra polemica l’uno con l’altro, portarono a scoprire all’interno dell’antro - originariamente completamente allagato - due palafitte sovrapposte.

La palafitta inferiore, appartenente al Bronzo antico (XIX-XVII secolo a.C.), fu abbandonata a causadell’innalzamento del livello del fiume, e rimpiazzata nel Bronzo medio (XIV a.C.) da una palafitta superiore, ancora visibile presso l’ingresso della grotta, quando viene abbassata l’acqua del fiume per la manutenzione della diga. Gli scavi individuarono inoltre due stipi votive, ovvero due punti in cui erano stati depositati in maniera reiterata oggetti di vario tipo a fini cultuali.
La prima stipe, trovata all’interno della grotta dietro l’Altare di S. Michele, era costituita da oltre 300 vasetti in miniatura dell’età del Bronzo; l’altra, posta all’esterno su una piccola sporgenza della rupe, un po’ più in basso rispetto alla bocca della grotta, era formata da pugnali, fibule, rasoi, asce, monete etc. che vanno dall’età del Bronzo sino all’epoca ellenistica e romana.

Questo complesso di elementi archeologici (palafitte e stipi), unito al particolare contesto ambientale ed alla composizione del repertorio vascolare rinvenuto - che privilegia forme adatte alle libagioni - restituiscono l’immagine di un luogo sacro. Le pratiche rituali, legate al culto delle acque, si dovettero svolgere inizialmente sia all’interno che all’esterno della grotta, per poi concentrarsi, dalla fine dell’Età del Bronzo sino all’epoca romana, esclusivamente all’esterno.
In età antica l’uomo si fermò al primo antro, non spingendosi oltre questa bocca degli inferi, esorcizzati da offerte sacre e più tardi dalla presenza di S. Michele. Solo con il secolo scorso gli speleologi hanno iniziato ad esplorare la grotta ed oggi quest’esperienza è offerta in buona parte ai visitatori, che percorrono il primo tratto a bordo di una chiatta.
Aspettando a luce fioca di salire sulla barca per penetrare negli abissi, è difficile non associare la pur gentilissima guida che la conduce, a Caronte; come è difficile scacciare dai pensieri il monito pronunciato dal traghettatore dantesco: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo:i’vengo per menarvi all’altra riva nelle tenebre eterne, in caldo e ‘n gelo>>.
La visita è prevalentemente un’esperienza naturalistica ed un esercizio di fantasia, nel tentativo di interpretare le figure più bizzarre, create dall’acqua che scorre sulla roccia.
Le grotte sono costituite da tre rami principali dallo sviluppo complessivo di 3300 metri. Quello nord, il più lungo, è attrezzato per le visite turistiche ed è allagato per i primi 200 metri, ricevendo l’acqua dal ramo sud attraverso una piccola cascata.
Quest’ultimo - detto “grotta attiva” perché attraversato per tutta la lunghezza da un corso d’acqua perenne – ed il ramo mediano, detto “grotta fossile” sono stati di recente aperti agli speleologi. Tali ramificazioni sono un susseguirsi di ambienti, sale e corridoi ricchi di concrezioni: colate di calcare trapuntate da microscopici cristalli, che danno vita a presepi, troni, castelli, trulli, monaci in preghiera, drappi, merletti e quant’altro l’immaginazione riesca a suggerire.
Le concrezioni sono il frutto dello stillicidio delle acque che, penetrate nella cavità, risultano soprassature di carbonato di calcio: il sale in eccesso “precipita” e si deposita sui bordi del flusso d’acqua infiltrato, formando le stalattiti; a queste si contrappongono le stalagmiti, emergenze coniche che si innalzano dal suolo per incrostazione delle acque cadute dalle fessure di rocce calcaree sovrastanti, o sgocciolanti dalle stalattiti.
Nelle grotte, arieggiate da una corrente d’aria, ogni ambiente è una scoperta anche grazie alle guide, pronte a far osservare mille particolari e ad illustrare questo habitat popolato da una fauna particolare. 
Le forme di vita qui presenti possono avere scelto le cavità come rifugio - è il caso dei pipistrelli - oppure possono essersi adattati allascarsa luminosità per sfruttare una condizione climatica costante durante le stagioni (come alcuni tipi di insetti dalle sensibili antenne ed alcune forme microscopiche di isopodi e chilopodi).

Conclusione ideale dell’itinerario nelle grotte non può che essere la visita al Museo di Geologia “Mida 1” , ospitato in un interessante edificio contemporaneo di Pertosa, dotato di un’area espositiva per mostre e di un auditorium per conferenze ed eventi. Il “Mida” (Musei Integrati dell’Ambiente) fa parte di un progetto in corso di realizzazione che si propone di mettere in rete una serie di musei, siti all’aperto ed iniziative culturali nei comuni limitrofi di Pertosa e di Auletta, in cui poter osservare i fenomeni della terra.
Il Mida 1 offre la possibilità di comprendere meglio il fenomeno del carsismo e l’ecosistema delle cavità attraverso pannelli didattici, una teca con i piccoli animali che abitano le grotte, ricostruzioni ambientali e soprattutto filmati e strumenti multimediali.
L’obiettivo è quello di stimolare i visitatori con un linguaggio audio-visivo che induca ad una partecipazione attiva e permetta ai più giovani di apprendere giocando. Si spera che in un futuro prossimo all’interno di questo museo si possa ripercorrere anche la preistoria della grotta. I manufatti rinvenuti negli scavi sono ad oggi dispersi tra il Museo Archeologico di Napoli, il Museo Archeologico di Salerno ed il Museo Pigorini di Roma; se il ritorno di queste collezioni è alquanto improbabile, ci si augura almeno che il Mida possa documentare, come è in progetto, il contesto archeologico con calchi di alcuni manufatti, pannelli e ricostruzioni multimediali.Una sosta nel paese può infine permettere di visitare la Chiesa di S. Maria delle Grazie . Ricostruita nel 1902 in seguito ad un terremoto, vanta origini antiche: fu infatti fondata intorno al Mille da monaci italo-greci nei pressi di una piccola sorgente. All’interno custodisce un affresco della Madonna delle Grazie della fine del XV secolo e nell’abside un grande quadro dell’Immacolata del 1589 attribuito a Bernardo Lama.