Sala Consilina

Il primo impatto che si ha con Sala Consilina vista dall’autostrada Salerno-Reggio Calabria non è certo dei migliori, anzi potrebbe indurre ad escludere una sosta in quello che fu uno dei centri più antichi del Vallo di Diano. Gli alti palazzoni moderni formano infatti una barriera grigia ed anonima, negando l’impianto urbanistico originario.
Ma chi non si lascerà scoraggiare dal primo impatto, rimarrà piacevolmente sorpreso da questa cittadina medievale, che fu ampliata ed abbellita nel corso del Settecento ad opera soprattutto delle famiglie patrizie.La visita suggerisce proprio la scoperta di Sala settecentesca, attraverso i monumenti ed i toponimi in uso in quell’epoca, riesumati dagli archivi polverosi grazie allo studio paziente di Enrico Spinelli.

Una prima immagine di Sala si ricava da una bella incisione di Costantino Gatta del 1728, in cui la cittadina è adagiata ai piedi dei Monti della Maddalena, su cui sorgono l’imponente castello dalla plurima cinta muraria ed il santuario dedicato al santo patrono Michele Arcangelo. A valle, a ridosso dell’ultimo recinto della fortezza, si distende la città con le chiese dagli alti campanili, le piccole case ed i palazzi nobiliari con alle spalle i giardini, ove era possibile coltivare l’essenziale per la sussistenza della famiglia. Grossomodo al centro dell’incisione vi è un ampio slargo indicato in legenda come piazza; era questo uno dei poli principali della cittadina.

 
Da questo slargo, oggi corrispondente a Piazza Umberto I e frutto di un ampliamento ottocentesco, si può iniziare la visita. In passato qui vicino erano presenti gli edifici ove alloggiava il governatore regio, delegato a rappresentare il potere centrale. Nei documenti questa zona è indicata infatti con il toponimo Case di Corte o anche a Chiazza ovvero la Piazza, sottolineando come fosse già allora un nodo vitale per la vita politica e sociale.

 
Da qui si può imboccare Via Grammatico, dove vi era l’antico “Seggio”  (in dialetto Lu Tuóccu), un tipico portico aperto a guisa di loggia – ancora esistente a Teggiano - ove si tenevano le assemblee cittadine, dette parlamenti. La dizione dialettale Lu Tuóccu, attestata nei documenti salesi, risulta diffusa in tutta l’area calabro-sicula e deriva dal greco thôkos, che significa appunto “adunanza”, confermando il substrato culturale greco presente nel Vallo di Diano.Facendo una breve deviazione su Via Albinio, si raggiunge la Cappella Acciari ed il Palaz zo della stessa famiglia, con un ingresso monumentale posto tra due alte colonne. 
La cappella, come si ricava dall’iscrizione sopra il portale, fu fondata nel 1704 dall’abate Felice Pandelli per passare pochi anni dopo agli Acciari.

All’interno, sotto una volta con decorazioni in stucco ed affreschi dagli influssi napoletani, vi è uno splendido altare opera di Giacomo Colombo. La chiesa è di proprietà privata e quindi difficilmente visitabile.
Palazzo Grammatico 4 si trova ritornando sulla strada omonima all’incrocio con Via Silvio Pellico. L’imponente edificio, realizzato nel 1722 per volere di Alberico Grammatico, presenta una corte interna lastricata, che permette di accedere al giardino retrostante ed al piano superiore attraverso una scala. Il portale, sormontato dal grande stemma della famiglia, rivela uno stile medievaleggiante con bugne decorate da fregi floreali, due protomi di leone e due oche simbolo di vigilanza.
La facciata è arricchita dai davanzali caratteristici in tutto il Vallo e costituiti da mensole sorrette da teste scolpite, che presentano fisionomie ed espressioni sempre diverse. Svoltando su Via Silvio Pellico si incontra Palazzo Bove  (XVII-XVIII secolo), fortificato da una torre semicircolare ed appartenente ad un’altra famiglia chiave dell’età moderna salese.
Questa strada stretta, che continua in Via Castello, seguiva il percorso della cinta muraria medievale, ricalcata dalla cortina continua di case, che delimitano ad est la Civita, toponimo ancora in uso per indicare l’insediamento originario. 
Residuo della cinta è un brano murario con una torre inglobato nel Palazzo Castrataro-Tieri 6, posto in via Castello 24, lungo la strada che porta al castello nel punto più alto dell’abitato, denunciando l’importanza dell’edificio. 
Uno degli ingressi alla Civita è invece localizzabile all’inizio della stessa strada ed è attestato dal toponimo ancora in uso nel Settecento Lu Purtiéddu. 
Scendendo le ripide scalette poco prima di palazzo Castrataro-Tieri e quindi svoltando a destra si raggiunge la Cappella di S. Giuseppe , eretta nel 1735 dalla ricca famiglia Bigotti, che era in stretti rapporti con i Certosini di Padula. La facciata della chiesa costituisce un notevole esempio di barocco salernitano per la particolare composizione architettonica e per l’apparato di stucchi. Degna di nota è la soluzione adottata in corrispondenza degli angoli della facciata, smussati in una forma convessa; il prospetto risulta affiancato da due paraste e sottolineato dal marcapiano superiore, secondo uno stilema già adottato da Giovanni Donadio da Mormanno a Napoli e a Cosenza.
Dietro l’angolo della strada ci si imbatte nella Grancia di S. Lorenzo , o grangìa, come è in uso dire qui e in tutta l’Italia meridionale, secondo la dizione di origine spagnola del termine latino granica (granum), che indica un’azienda agraria alle dipendenze di un monastero. Fu realizzata probabilmente nel ‘500 per esigenze legate all’amministrazione del vasto patrimonio fondiario della Certosa di Padula. Il recente restauro ha lasciato a vista le tracce della decorazione pittorica insieme ad archi, portali e colonne in pietra. Oggi questo edificio, con il suo bel cortile e loggiato interno, ospita la biblioteca e l’Antiquarium Comunale ( Percorrendo l’antica via Popilia-Annia), seppure in via provvisoria in attesa che venga ultimato il restauro del Convento dei Cappuccini. Imboccando Corso Vittorio Emanuele vi è all’inizio della strada, incredibilmente superstite, la bottega di un artigiano che crea barilotti e recipienti di differenti misura e dimensione, trasmettendo la sensazione che qui il tempo si sia fermato!

In Via Cavour si trova la Chiesa di S. Stefano Protomartire , piccolo scrigno di opere d’arte salesi, fondata nel periodo normanno (XII secolo). A quest’epoca appartiene l’affresco visibile in facciata, raffigurante il Redentore e rinvenuto in occasione di recenti lavori di restauro.
All’interno l’aula a navata unica ed affiancata da una serie di cappelle, è il risultato di una ristrutturazione in età moderna. Tra le numerose opere presenti citiamo la Madonna della Consolazione (1610) sopra l’altare maggiore e la Madonna delle Grazie (1615) nella Cappella di S. Carlo (entrando la prima a destra); entrambe sono di Giovanni de Gregorio detto Pietrafesa, artista “di periferia”, ma dalle qualità degne del centro e che grazie alla sua formazione napoletana fu il preferito della clientela locale più sofisticata.
La balaustra in pietra di Padula, che delimita l’area presbiteriale, con le sue tozze figure di putti reggitorcia dal corpo muscoloso e sgraziato, è di Andrea Carrara o della sua bottega.
Nei registri della Chiesa di S. Stefano (anni 1718-1735) sono indicati a favore di questo scultore anche dei pagamenti per il suo lavoro come stuccatore, svelando questa sua attività a lungo ignorata e permettendo di attribuirgli gli stucchi presenti nell’aula e nella Cappella del SS. Sacramento. Di Anselmo Palmieri sono invece gli affreschi tra i finestroni della navata, realizzati nel 1726; il loro stile è frutto della fusione fra la tradizione classicistica napoletana e un cromatismo legato al linguaggio di Luca Giordano.Lasciata Sala Consilina, si riprenderà la SS 19 verso sud in direzione Padula, alla volta di una delle perle del barocco salernitano: la Certosa di S. Lorenzo. Ma prima di questa importante visita, ci si potrà rifocillare in uno degli ottimi agriturismo del circondario o assaggiare gli squisiti formaggi prodotti dai tanti caseifici locali.